Il brand svedese Our Legacy è stato per anni oggetto di culto tra fan di ogni parte del mondo. Oggi, ha raggiunto un nuovo livello che ha colto di sorpresa anche i suoi fondatori. GQ è andato a Stoccolma per vedere da vicino come un’amata etichetta indie si stia preparando per il palcoscenico principale della moda. Il direttore creativo è addormentato sul divano. I suoi stivaletti vintage Margiela sono sul pavimento accanto a lui. Non è ancora mezzogiorno, ma la giornata si è già dimostrata grandiosa per Cristopher Nying. La settimana ancora di più. Potremmo dire che quest’ultimo anno, e i due subito prima, sono stati fondamentali per Nying e i suoi soci di Our Legacy. È novembre a Stoccolma. Il sole tramonta verso le tre del pomeriggio. Le nuvole, basse e dense, avvolgono l’aria come uno strato di lana spessa. Le notti sono lunghe. Soprattutto quella di ieri. È iniziata con un party nello store Our Legacy Work Shop, una delle due boutique gestite dalla compagnia a Stoccolma,per festeggiare l’ultima collaborazione di successo con Emporio Armani. Nying e soci – Jockum Hallin, con cui ha fondato Our Legacy nel 2005, e Richardos Klarén che è entrato nella società un paio di anni dopo – hanno dato vita a una serata davvero cool per le persone con lo stile migliore di tutta la Svezia. Un gruppo di giovani chef ha fatto circolare tartare di vitello e calici di vino naturale, mentre amici, parenti e fan hanno potuto dare un’occhiata ai capi in anteprima. Subito dopo, è arrivata la cena di famiglia al Bord, uno dei ristoranti più in vista di
Stoccolma, dove sono state servite montagne di scampi del Mar Baltico cotti al forno a legna e pilsner fredda al bicchiere. Alla fine, un gruppo di partecipanti si è ritrovato in un karaoke bar al piano interrato. Quando sono andato via, Nying aveva appena concluso una delle esibizioni più convincenti che mai abbia visto: Give It Away, dei Red Hot Chili Peppers, eseguita interamente come un freestyle. Nying ora sta recuperando un po’ di sonno, ma lui, Hallin e Klarén questa mattina si sono alzati presto per posare nel servizio di un giornale svedese. Subito dopo
hanno incontrato il team di progettazione per definire i dettagli della prossima collezione. «È un momento molto importante, davvero decisivo», mi dirà Nying più tardi. Hallin che gestisce le collaborazioni di Our Legacy, ha appena pubblicato online il primo teaser della collezione con Armani e cerca di stare dietro al suo telefono che non smette di suonare. Il teaser di oggi sta attirando l’attenzione dei social media a un livello senza precedenti per il marchio. Non sorprende: oggi, una collaborazione con Our Legacy vale più di qualsiasi cosa un marchio di streetwear o di scarpe da ginnastica possa inventare. Tra qualche giorno Hallin andrà a Londra e poi a Tokyo per lanciare la collezione con Dover Street Market che la proporrà in esclusiva. Mentre Nying riposa, lo studio di Our Legacy, un garage riconvertito dove lavorano circa trenta dipendenti a tempo pieno, è movimentato da un caos esuberante. Nei pochi giorni che ho passato a osservare le operazioni, mi sono reso conto che non c’è un clima da lavoratori della moda oppressi e oberati di lavoro. La vibe è forte. Il business va alla grande. Il marchio è in piena fioritura, sia in termini di vendite sia di impatto culturale. Per un’azienda operativa da quasi
vent’anni, il futuro appare improvvisamente più luminoso che mai. Dopo aver superato i cicli dei trend e le difficoltà economiche che hanno affondato tanti marchi di menswear, Our Legacy è riuscita in qualche modo a far diventare gli ultimi due anni i più pieni e ricchi di profitto della propria storia. Secondo il brand, dal 2020 gli affari sono triplicati e per la prima metà del 2024
Our Legacy prevede di raggiungere i 40 milioni di dollari. Dall’espansione nel womenswear, nel 2018, Our Legacy produce quattro collezioni principali ogni anno: due da uomo e due da donna. Inoltre, ha un fiorente programma Work Shop, di cui Hallin è a capo, capace di creare collezioni speciali fuoriprogramma che si trasformano regolarmente in eventi mega-hype. Si tratta di capsule realizzate con tessuti fuori produzione e collaborazioni con marchi del calibro di Stüssy, Denim
Tears e Satisfy Running. Our Legacy ha negozi a Stoccolma, Londra e Berlino, avamposti in Corea e oltre duecentocinquanta rivenditori a livello mondiale. Perché questo boom proprio adesso? Perché un marchio benvoluto all’improvviso diventa hot? Per anni, Our Legacy ha occupato una nicchia confortevole come solido brand di menswear a prezzi ragionevoli.
Ha sempre avuto un seguito di culto tra gli uomini a cui piacciono vestiti interessanti, fatti con cura, senza loghi vistosi o grandi scritte e che non stravolgano i conti bancari. Our Legacy è sempre
stata cool in maniera discreta e di qualità. Ha sempre beneficiato del senso di riconoscimento tra i suoi adepti, creando capi sobri che potrebbe indossare chiunque. Nel corso degli anni, il marchio è diventato più sperimentale. Ha superato i confini del menswear convenzionale, introducendo la linea da donna e disegnando vestiti che abolivano le norme di genere. Ha sempre mantenuto, però, una posizione di nicchia e ha seguito i desideri mutevoli dei seguaci che contavano su Our Legacy per trovare abiti semplici, accessibili e facili da indossare, ma al passo coi tempi. Non esiste oggi una mappa per la nuova avventura di Our Legacy, nessun precedente su un brand di menswear di culto che inaugura la sua seconda decade affrontando la possibilità improvvisa, o la necessità, di espandersi come mai prima d’ora. Cosa succede quando un marchio amato, e poco conosciuto, travolge l’amata bolla di nicchia che l’ha tenuto al sicuro per anni? Our Legacy sta entrando in un territorio inesplorato. Il quartier generale di Our Legacy è diviso a metà da una lunga tenda. Da un lato c’è il team di marketing e vendita, dall’altro il team di design e produzione. I vestiti sono ovunque. Rastrelliere di prototipi e campioni corrono su tutta la lunghezza della tenda divisoria. Dal lato design, in un angolo, c’è una vera e propria stanza del cucito, dove vengono progettati e riorganizzati i campioni in fase di design. Mentre ero lì, Luigi Bernasconi, un consulente svizzero, ha fatto visita allo studio.
Bernasconi è dotato di una combinazione unica di competenze nel campo del design, della produzione e del marketing, che utilizza per potenziare l’efficienza dei marchi di moda. Vive a Lugano, ma trascorre il tempo a Parigi, Milano e in altre capitali della moda, prestando le proprie conoscenze ad aziende come Bottega Veneta e Prada. Bernasconi è una figura chiave per comprendere la nuova fase fortunata di Our Legacy. l lavoro di Bernasconi con il brand è iniziato nel 2021, dopo un’attenta valutazione. «Ho intervistato praticamente tutta l’azienda» spiega. «Ho passato un’ora con ognuno di loro e ho visto il potenziale del marchio, ma ho capito come fosse guidato puramente dalla creatività. Che è un’ottima cosa. Quindi, serviva soprattutto organizzare il processo e strutturare l’offerta del prodotto. È esattamente ciò che faccio io: ottimizzare l’offerta del prodotto per trasformare la
creatività in profitto».
Nying è un designer dal grande senso pratico. Il primo passo nella realizzazione di un capo di Our Legacy è spesso uno schizzo a penna su carta. Bernasconi contribuisce a ottimizzare il processo strategico che trasformerà lo schizzo in un prodotto finito. Due volte l’anno il consulente incontra i designer del menswear, Johannes Wieser e Harry Peter; esamina con loro i dettagli di ogni capo, discute il trattamento dei tessuti e la vestibilità, il colore, la texture; osserva con attenzione cerniere, cappucci, colletti, polsini e ogni componente immaginabile, decidendo un prezzo finale. «Il prodotto viene analizzato a fondo», mi dice Nying. «È una cosa positiva. Mi piace questo metodo di lavorare, rigirare un capo così tante volte prima di finirlo da rendere quasi impossibile che ci sia qualcosa di sbagliato». Il prezzo è una parte importante del business di Our Legacy. Appassionati del brand ed esperti concordano nel dire che è il rapporto qualità/prezzo a rendere il brand tanto speciale. E questo è particolarmente interessante, considerando che il marchio vende le camicie a trecento dollari, i maglioni a cinquecento e i pantaloni a quattrocento. Nell’universo high-fashion, sono prezzi ragionevoli. Anzi, dal punto di vista di Our Legacy, un brand che ha una reputazione di eccellenza per design e qualità, sono prezzi oltremodo ragionevoli. Un elemento cruciale nell’analisi iniziale di Bernasconi. «Ecco perché stanno andando così bene oggi: hanno la creatività e il prezzo», sottolinea. «Il prezzo è leggermente inferiore a quello degli altri marchi di lusso. Odio usare il termine ‘lusso accessibile’, ma è questo a renderli davvero unici».
La nota inclinazione della Svezia per il minimalismo ha creato confusione intorno all’idea che Our Legacy sia un marchio minimalista. Non c’è nulla di minimale nei jeans trompe l’oeil e negli enormi maglioni lavorati all’uncinetto del marchio. Questi capi rievocano un’epoca del design svedese dei primi del Novecento. È chiamata Swedish grace, ed è caratterizzata da un neoclassicismo opulento e pieno di decorazioni. Our Legacy utilizza texture, motivi, stampe, trattamenti sorprendenti dei tessuti e tagli eleganti in un modo che richiama questo periodo storico del design svedese più che la sobrietà di un’estetica midcentury. E sono proprio gli elementi più eccentrici che risaltano nelle collezioni Our di Legacy, eccentrici, ma comunque sempre indossabili, semplici e cool.
«Approcciano la moda in modo davvero unico» sostiene Bernasconi. «In giro si parla di quiet luxury, Loro Piana o Brunello Cucinelli. Questo è qualcosa di completamente diverso, eppure ugualmente quiet. Lo definirei quiet fashion. È una sensibilità per individui che vogliono vestirsi in una maniera che sia unica e in un certo senso punk ma sempre impercettibile, sempre discreta». Per quanto discreta, la peculiarità del brand secondo i suoi fan è evidente. C’è una vaga aria di nostalgia verso gli anni Novanta, e un’affinità con le contro-culture che definirono quel periodo: lo skate e il surf, il punk e l’hardcore, l’hip hop e lo streetwear. In generale, i capi hanno una qualità vintage e senza tempo, e rappresentano un mix unico di influenze americane ed europee.
«Onestamente, ha un appeal davvero vasto», mi dice Rikesh Patel, un buyer al Dover Street Market. «L’intera linea è super eclettica». Patel afferma che le vibe anni Novanta e l’estetica da «sala riunioni punk» sono in risonanza perfetta con i millennial che seguono la moda. Eppure, la cosa migliore che abbia fatto Our Legacy negli ultimi anni è stata di offrire l’abbigliamento perfetto al periodo post-Covid. «Hanno azzeccato l’abbigliamento formale rilassato», dice Patel.
L’elemento di maggiore attrazione di Our Legacy però è più intangibile. C’è una qualità intrigante nel brand. È sia anonimo sia molto personale. Sa di scoperta. Come un libro o un film che hai scovato e amato inaspettatamente, per ragioni che non sapresti descrivere bene. Perfino il nome è enigmatico ed evocativo, come il titolo di un album musicale. E per quanto il marchio oggi sia cresciuto, sembra ancora piccolo, nel migliore modo possibile. Meditato in ogni dettaglio, e non
guidato solo da valori commerciali. «Tutto ciò che realizzano è autentico», commenta Patel. «Sono una grande famiglia, te ne accorgi dal team e dai prodotti che realizzano. Se creano qualcosa è
perché corrisponde in pieno a ciò che sono. Questo prevale su tutto il resto; puoi davvero sentirlo». Nying e Hallin si sono conosciuti sul ghiaccio. Da bambini, tra i dodici e tredici anni, giocavano nella stessa squadra di hockey. Abitavano nei dintorni di Jönköping, non lontano da Huskvarna, una piccola zona industriale nel sud della Svezia, famosa per la produzione di motoseghe e moto da cross. La famiglia di Nying produceva vinili, un’attività che in seguito si sarebbe rivelata utile. Ci sono voluti alcuni anni perché la loro amicizia prendesse piede fuori dalla pista da hockey. Lasciarono entrambi la Svezia per un periodo – Hallin passò una stagione a fare snowboard in Austria, Nying studiò arte in Australia – prima di tornare a casa e incontrarsi di nuovo. Scoprirono di avere interessi simili, soprattutto per i vestiti. Decisero di sperimentare con il design, e nel 2005 produssero la prima collezione di magliette, utilizzando nella realizzazione dei campioni l’attrezzatura per la stampa dei vinili della famiglia di Nying.
«Siamo riusciti subito a sviluppare la qualità e poi, quando è stata acquisita la necessaria sicurezza, abbiamo imparato a disegnare un capo alla volta, categoria dopo categoria», spiega Hallin. Per un paio d’anni, hanno girato la Scandinavia con un borsone pieno di magliette,
da vendere direttamente ai negozi.
«Tra i clienti avevamo uno o due negozi a Copenaghen, e i migliori negozi tra Stoccolma e Göteborg, non molto altro», racconta Hallin. Gli affari erano in crescita però, e a quel punto ha avuto senso coinvolgere un terzo partner. Richardos Klarén è arrivato nel 2007. Aveva già lavorato nel settore vendite da Acne Studios, a Stoccolma, e ha portato alla società un nuovo livello di esperienza nel settore. Nel 2007, Our Legacy ha presentato una collezione completa. O qualcosa del genere. C’erano camicie e maglieria, e un blazer lavato. Era comunque abbastanza da spingere i soci a fare uno dei primi grandi investimenti: portare il marchio a una fiera a Copenaghen. Si rivelò una buona idea. «Presentammo qualcosa di diverso», racconta Hallin. «In quel periodo il menswear era molto Dior Homme, Cheap Monday – skinny jeans neri, rock and roll – e noi
arrivammo con camice oxford, tessuti plaid, colore, chinos con il risvolto e una silhouette meno te. Non eravamo solo l’ennesimo brand rock-and-roll svedese». Il successo iniziale di Our Legacy è dovuto a qualcosa di più che avere offerto un’alternativa agli skinny jeans e alle felpe con la zip. Tutto il menswear volgeva lo sguardo verso qualcosa di nuovo e luminoso. La categoria era pronta a una trasformazione radicale: lasciava lo stile spavaldo e materialista dei primi anni 2000, impersonato da David Beckham, spostandosi verso simboli più tradizionali, come la dinastia Kennedy e i boscaioli. L’estetica di Our Legacy all’epoca – “broken preppy” la definiscono alcuni – si adattava perfettamente a quella di altri marchi di moda che puntavano sull’ondata heritage. Si trattava di brand soprattutto americani, come Band of Outsiders, Patrik Ervell e Engineered Garments. Our Legacy aveva la particolarità di essere di ottima fattura, a buon prezzo e con un affascinante background europeo. Citava Martin Margiela e Ralph Lauren. Le ambizioni di Our Legacy però erano troppo grandi per essere incasellate. Nei primi anni, circumnavigò l’ondata heritage, creandosi un seguito tra gli uomini che in alternativa avrebbero fatto shopping da J.Crew. Poi, tutto a un tratto, cambiò direzione. «Mi sembrava che potessimo fare meglio», dice Nying. «C’era così tanto da esplorare», aggiunge Hallin. «Eravamo arrivati a un punto in cui potevamo fare molto di più in termini di estetica e ispirazione, potevamo mescolare
diversi mondi». Verso il 2015, la moda maschile esplose in uno stile selvaggio che abbracciò pattern, texture, colori e forme esagerate come mai prima. Our Legacy era un passo avanti rispetto a questa progressione naturale. Hallin dice che il grande cambiamento arrivò quando si resero conto di non essere obbligati ad accettare tutte le convenzioni del menswear. Erano consapevoli del fatto di potere perdere qualche cliente, come quelli che non erano pronti alle camicie di seta trasparente.
Per ogni cliente perso però, ne arrivarono una manciata di nuovi. «Non so come siamo sopravvissuti a quel periodo, ma ce l’abbiamo fatta», dice Klarén. «Oggi credo che ci troviamo in una posizione unica». Con l’arrivo della pandemia, Our Legacy si ridusse rapidamente al minimo e si preparò al devastante impatto economico delle chiusure. Le vendite però iniziarono a crescere – in parte grazie al lancio della collaborazione Our Legacy x Stüssy— e Nying, Hallin, e Klarén riconobbero l’opportunità. «In quel momento il campo da gioco diventò un pochino più ampio», dichiara Hallin. «Lavorare è più facile. Ma non è che ci mettiamo a tavolino a pensare, ‘Bene, prendiamo una certa quota di mercato’. Più che altro, oggi possiamo lasciare un’impronta più chiara nel mercato, perché abbiamo la nostra identità». Tornando allo studio, il grande futuro luminoso di Our Legacy è già qui. La priorità sono i nuovi store: tra le città prese in considerazione ci sono Milano, Parigi, New York, Los Angeles, Tokyo e Shanghai. E la collezione donna si prepara a un radicale rinnovamento. I tre partner, intanto, stanno cercando di capire cosa significherà per Our Legacy occupare un posto importante sulla scena della moda internazionale. «Siamo stati un marchio piccolo per molto tempo», considera
Klarén. «Ora ci siamo evoluti in un brand su cui contare. Siamo fortunati, stiamo andando bene sia dal punto di vista del marchio sia finanziariamente, e questo ci permette di schiacciare il piede sull’acceleratore».
Per Our Legacy, probabilmente l’accelerazione sarà diversa da quella di marchi di moda più opportunistici. «Trattiamo il nostro brand con molta cura», dice Hallin, ricordando come un tempo svendersi fosse la cosa peggiore che una band o un artista emergenti potessero fare. «Ora è diverso. Crescita economica e successo sono le cose che contano di più». Di conseguenza non vi aspettate che Our Legacy risponda alle mutevoli domande del mercato con la stessa rapidità con cui vanno sold-out le felpe con cappuccio Work Shop. (Aspettatevi però altri progetti sorprendenti e di alto profile, come un’imminente collaborazione di mobili con Willo Perron sul suo divano Sausage). I piani di Nying per il futuro del brand? «Per me, si tratta solo di elevare quello che stiamo o. Forse è un cliché», conclude, «ma ci tengo davvero al prodotto».Noah Johnson è il global style director di GQ.
Una versione di questa storia è apparsa originariamente nel numero di marzo 2024 di GQ con il titolo “Come Ou